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Mario Miccoli, Uomo cane, olio su cassetta di legno.

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Il pensiero che vive

In un articolo di qualche tempo fa - risale infatti a fine novembre del 2021 (1), Paolo Pecere, che si occupa di filosofia e letteratura, recensisce due saggi scritti a distanza di sette anni l’uno dall’altro da due autori diversi:

Come pensano le foreste, di Eduardo Kohn, edito nel 2013 e

Metazoa, di Peter Godfrey-Smith, stampato nel 2020.

Pecere parte da un assunto, dalla cui prospettiva osserva non solo questi due saggi ma tutti gli scritti su argomenti simili degli ultimi decenni: la crisi climatica ha impresso una curvatura nella ricerca scientifica, stimolando un nuovo interesse nei confronti del rapporto dell’uomo con le altre specie.

L’approccio depauperante e distruttivo della civiltà industriale alla natura e al pianeta porta, in altre parole, a cercare un nuovo incantamento del mondo: per questo, negli ultimi anni, si è tornati a parlare di animismo e di biopsichismo (2).

Questa ricerca ha tuttavia radici profonde: basti pensare a Tommaso Campanella, che si rifaceva a sua volta alla tradizione pitagorica e platonica. Per Campanella gli animali non sono àloga: ciascuno possiede discorso, favella e giudizio, chi più e chi meno. Non solo: l’intero mondo è un animale mortale che sente.

Pochi anni dopo Campanella però, Cartesio ripristina il concetto (aristotelico) della superiorità umana su tutti i viventi, derivante dal fatto che solo l’uomo è dotato di mente.

Negli ultimi decenni filosofi, neuroscienziati e antropologi cercano di superare il dualismo cartesiano e ritrovare l’unità perduta fra uomo e natura. In particolare, oggi si stanno rivalutando sapienze indigene e magiche e la metafisica di Campanella (il mondo ha senso perché è senziente).

Dopo questa breve ma dettagliata premessa, Pecere affronta i testi menzionati.

  1. Come pensano le foreste.

Kohn, antropologo, assume il punto di vista della popolazione amazzonica dei Runa, che vive in Ecuador, secondo cui  tutti gli animali pensano e la foresta è un essere pensante. La sua è una posizione che si connette a quella di etnologi che propongono una riconsiderazione dell’animismo e il superamento della dicotomia natura/cultura (Latour, Hawaway, De Castro, Descola).

Afferma così, riprendendo De Castro, la necessità di “decolonizzare il pensiero”, cioè di liberarsi di categorie tipiche della civiltà occidentale che ha colonizzato il mondo e distrutto la natura.

Kohn arriva ad affermare che “la vita pensa” e che ogni essere vivente è pensante, grazie agli studi etnografici e agli strumenti teorici della filosofia e della scienza occidentali, come il concetto di “emergenza” – gli esseri viventi sono composti di sostenze fisiche ma alcune loro proprietà emergono da queste senza essere descrivibili nei termini della fisica (in psicologia gestaltica l’insieme è differente, nuovo o altro rispetto alla somma delle singole parti, ndr).

Viviamo dunque in un mondo emergente e condiviso, la cui fonte è la foresta vivente.

Cosa accomuna i viventi? La capacità di comunicare significati e interpretare segni. “Viviamo tutti con e attraverso segni”.

La semiotica accomuna tutti i viventi.

Per sgombrare il campo da possibili critiche, Pecere ricorda al lettore che questa affermazione di Kohn poggia sugli studi di uno dei fondatori della semiotica, Charles Sanders Pierce, che a fine ‘800 affermò che i segni non sono soltanto i simboli (come quelli che utilizziamo noi umani), ma anche gli indici, cioè segni naturali che rappresentano quacosa per qualcuno senza bisogno di un codice linguistico.

Tutta la vita, dunque, è un processo semiotico, al cui interno si riconosce l’esistenza dei sé. Il mondo in cui viviamo è un’ecologia di sé disparati ed emergenti. Kohn unisce biologia e semiotica: questo è il nesso uomo-natura che il dualismo recide.

 

      2. Metazoa:

Godfrey-Smith, filosofo, nel libro Altre menti aveva studiato polpi e seppie. In Metazoa allarga l’indagine sull’origine della mente all’intera evoluzione biologica. Lui ritiene che i processi nervosi siano già mente: il problema consiste nel capire quali specie di organismi abbiano facoltà mentali, a seconda della conformazione dei loro corpi, perché diverse forme di vita hanno diverse specie di mente.

Ma sono molte le cose da definire: ad esempio, “sentire”, che può avere forme e gradi diversi giacché una cosa è il sentire dell’organismo unicellulare, altra cosa il sentire dei polpi; “valutare rischi e benefici dell’ambiente per orientare l’azione”; “la coscienza come rappresentazione unitaria del mondo”.

Partendo dalla percezione, Godfrey-Smith sostiene che “tutte le forme di vita cellulare conosciute, compresi batteri, hanno una qualche sensibilità nei confronti del mondo esterno, e rispondono a esso”.

Inoltre, lega percepire ad agire: ciò che i viventi percepiscono orienta ciò che fanno e il modo in cui si muovono per agire modifica quel che percepiscono.

Per questo diverse forme di vita hanno diverse specie di menti: non si può definire la percezione senza considerare come sono fatti e cosa fanno i corpi.

 

Mentre per Kohn il senso del sé è conferito a ciascun vivente dal fatto di essere parte di un processo semiotico, per Godefrey- Smith il senso del sé risiede nel movimento coordinato dell’intero organismo (azione).

L’evoluzione biologica di corpi dalla conformazione diversissima rende dunque inappropriato parlare dell’evoluzione della mente al singolare. Corpi diversi significano forme diverse di vita mentale.

 

Nonostante il confronto con gli umani sia continuo, Sia Kohn si Godfrey-Smith sentono l’esigenza di abbandonare la prospettiva antropocentrica sui viventi. I loro lavori hanno altri punti di convergenza: il rifiuto dell’assoluta differenza ontologica dell’essere umano; il riconoscimento che la vita è relazione e che il pensiero è una funzione della vita; il riconoscimento di pari dignità a tutti i viventi.

Mi sembra di poter concludere che Pecere concordi con la visione di Dale Jamieson, filosofo dell'ecologia, e Bonnie Nadzam, scrittrice, che menziona non a caso in chiusura dell'articolo: per rendere concreti i punti di convergenza elencati sopra, occorre fare lo sforzo di conoscere la realtà dell'altro e uscire dalla tendenza narcisistica che ci induce a trasformarlo in uno specchio per noi stessi. L'altro è tutto: persone, animali, natura nelle loro vite relazionali. Conoscere significa amare.

Così, etnologia, scienza e filosofia possono convergere nella convinzione che legame affettivo e conoscenza degli altri esseri viventi son inseparabili.

 

Alessandra Scudella

 

In foto: Franz Marc - Il destino degli animali

(1): https://www.iltascabile.com/scienze/il-pensiero-di-tutti-i-viventi/

(2): Una parte ristretta della comunità scientifica oggi attribuisce capacità mentali a tutti i viventi (biopsichismo). Una ristretta comunità filosofica oggi sostiene il panpsichismo, secondo cui ogni parte di materia ha in sé qualcosa di mentale. Occorre aggiungere che ci sono sostenitori di tesi che mettono in dubbio facoltà mentali, capacità di sentire ed emozioni in molte specie animali.

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